A Tortolì sono arrivato per un progetto che sto riorganizzando per la pubblicazione (www.unpaeseinscala.zenfolio.com): ho fotografato migliaia di persone dal 2005 al 2010 in giro per l’Italia in una sala di posa itinerante. Volevo costruire un grande “ritratto di ritratti” con i volti delle persone incontrate.
In Sardegna ho fotografato a Cagliari, a Sassari e nell’Ogliastra: le persone che vedete sono pescatori.
Il set era limitato ad un paio di cavalletti che reggevano un’asta con un fondale di tela. Nessun tipo di luce artificiale: eravamo sulle rive di una laguna costiera dove i due stavano sistemando delle nasse, ho scelto di posizionare il set all’ombra e utilizzare luce naturale. Questa tecnica è abbastanza snella per lavorare senza assistenti e libera dal “rischio” di voler interpretare la persona: mi piace che da un ritratto esca il soggetto più che una ricercata impronta autoriale.
Quando lavoro con la gente do meno indicazioni possibili sulla posizione da prendere. Il soggetto lasciato libero di porsi davanti all’obiettivo manifesta inevitabilmente il suo carattere: tutti assumono una sorta di maschera “fingendo” il lato migliore o l’aspetto più intelligente possibile, ma questa messa in scena più o meno consapevole lascia sempre trasparire molto di intimo. Un buon ritratto deve cogliere questo limite sottile tra finzione e realtà.
Preferisco sempre avere un approccio diretto con la gente: dichiarare le intenzioni e motivarle infonde sicurezza in chi ascolta e la richiesta di posare solitamente viene accolta con naturalezza. Vedendo i due lavorare, ero stupefatto dall’abilità con cui riparavano gli strumenti da pesca al rientro da una battuta: ho subito spiegato il mio progetto chiedendo se volessero farsi riprendere, poi sono stato due ore ad ascoltarli prima della foto.
Una fotografia è sempre il risultato di una relazione: abbiamo parlato di molte cose, ho chiesto del loro lavoro ed essi del mio. E, alla fine, ho anche “ricevuto” un buon ritratto!
Credo che tutto questo si percepisca nella foto: una certa tensione li tiene sull’attenti come due guerrieri, lo sguardo non inganna, e questo li rende sinceri più che se avessero posato fino ad apparire disinvolti. Sono sè stessi con tutta la vita addosso, fieri come ti aspetti da due che vanno per mare. La seduta è durata non più di cinque minuti, ho eseguito quattro scatti in coppia a figura intera e altrettanti un po’ più ravvicinati, poi tre scatti singoli ad ognuno. Lo spazio a disposizione mi permetteva di usare una focale abbastanza lunga per non stare loro troppo addosso, una certa distanza fisica aiuta il soggetto a rilassarsi.
Bisogna sempre saper leggere le persone: a volte, come in questo caso la situazione ti fa capire che più veloce sei, migliore sarà il risultato, insistere nella seduta li avrebbe messi in imbarazzo e irrigiditi, ogni scatto sarebbe andato peggiorando; altre volte percepisci che chi hai davanti ha molta voglia di posare, sono le persone più belle o che si sentono tali, oppure quelle molto sicure di sè. In queste situazioni spesso si ottengono pose ed espressioni stereotipate, conviene assecondare la sete di protagonismo per aspettare un momento di pausa, il “cedimento” del controllo che possa raccontare meglio la persona. Su questo equilibrio instabile nascono tutti i grandi ritratti della storia della fotografia. Se avessi dato molte indicazioni o usato luci particolari avrei creato la “mia foto”… e forse mi sarei perso qualcosa.
Ovviamente tutto questo… è valido solo per il ritratto posato… oppure no?!?!… non amo la fotografia rubata con il tele, arrivo a pensare di non considerarla un ritratto vero e proprio….ma si rischia di scatenare una battaglia…
Una via di mezzo è una foto fatta ad una persona non in posa, ma in una situazione di reportage in cui è comunque consapevole della presenza del fotografo. Anche in questo caso sta alla bravura del fotografo discernere l’attimo eloquente tra gli atteggiamenti di una “messa in scena” seppur involontaria, quello in cui composizione, luce, gestualità ed espressione del soggetto si armonizzano nel miglior modo possibile.
Ma un luogo comune si sente ripetere spesso: “il ritratto migliore è quello spontaneo, quando il soggetto non sa di essere ripreso”, sei d’accordo? Qual è la tua esperienza?
La mia opinione è che se il soggetto non è partecipe, non c’è relazione, manca qualcosa di importante, quindi non riesco a parlare di ritratto ma voglio sentire la tua al riguardo.