Una mattina al Tempio di Shunkoin

Una mattina al Tempio di Shunkoin

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Sii più Zen

Un week end, mentre ero con la mia ragazza in centro (NYC) a fare colazione, ho ascoltato la conversazione del tavolo di fianco. Due ragazzi, che stavano ancora smaltendo la sbornia della sera precedente, stavano raccontando una storia, e uno di loro era un po’ su di giri per la notte passata.

Non so cosa fosse successo, ma aveva a che fare con dei cocktail e delle ragazze. Il suo amico pensava che stesse reagendo in modo esagerato e gli ha detto, “Scemo, dovresti imparare a essere più zen.” Come a voler ricordare al suo compagno che infervorarsi non serve a nulla.

Lo Zen è uno strano mondo, perché è arrivato nel nostro linguaggio sottoforma di nome, aggettivo, e avverbio. Non credo di aver mai sentito qualcuno dire, “Scemo dovresti essere più Cattolico,” oppure “Ho una giornata davvero ebraica”.

Molte delle altre pratiche religiose non portano con sé la stessa flessibilità. Lo Zen viene utilizzato per esprimere il modo in cui ci sentiamo, il modo in cui agiamo, e un approccio “Yoda” alla vita, voce buffa a parte.

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Gli altari sono un modo per ricordarci costantemente che siamo solo una piccola parte del lungo lignaggio che ci ha preceduto. © Adam Marelli

La forma di Buddismo Zen che oggi troviamo in Giappone fonda le proprie radici in Cina e India, circa cinquecento anni prima di Cristo. Quindi il Buddismo ha viaggiato attraverso l’Asia per fermarsi in Giappone.

Durante il percorso ha mutato forma. Gli dei colorati delle origini indiane si sono trasformati in muri bianchi, cuscini neri e una estrema semplicità.

Tutti quelli che sono stati in Asia possono testimoniare gli adattamenti locali che il Buddismo ha subito, dal Nepal alla Thailandia, al Giappone. Le due cose che restano sempre invariate della pratica buddista, a prescindere dal gruppo, sono che essa si focalizza sull’auto-disciplina e che gli studenti sperano di raggiungere lo stato di illuminazione. Ovviamente, nessun praticante serio lo ammetterà mai, ma l’idea del Nirvana, o satori, o kensho, o del risveglio sono troppo seducenti per resistervi.

Nel mio ultimo viaggio in Giappone sono stato invitato presso il Tempio di Shunkoin per incontrare il monaco zen Rev. Takafumi Kawakami.  Questa è stata la mia prima interazione con lo Zen in Giappone.

Prima di questa avevo speso sette anni dentro e fuori dai monasteri Zen negli USA, incontrando molti praticanti buddisti zen negli Stati Uniti. Ho avuto la possibilità di scoprire  molti aspetti della pratica Zen e volevo vedere com’era quello delle origini.

Mi chiedevo se la pratica Zen fosse come il cibo italiano. Quando qualcosa sale su un aereo e attraversa l’oceano sembra sempre perdere qualcosa.

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Mentre bevevo il tè con il Rev. Takafumi Kawakami non ho potuto fare a meno di notare tutti i dettagli affascinanti del tempio.  © Adam Marelli

Iniziamo dal tè

Il complesso del tempio di Myoshinji era a circa quindici minuti di macchina dall’Hotel Anteroom in cui alloggiavo. Mentre il tassista con i guanti bianchi si avvicinava al tempio, mi aspettavo di essere lasciato fuori dal cancello, ricevere delle indicazioni tramite gesti che indicavano la destra e la sinistra, e una spiegazione in giapponese che non potevo capire.

Con mia sorpresa, entrammo nel complesso del Tempio di Myoshinji in macchina. L’auto deviò dalla strada finendo su una pavimentazione di pietre. Avanzammo lentamente lungo un percorso lungo circa trecento metri fino a quando non raggiungemmo un cancello. Servizio in camera, non male dopotutto.

Quando scesi, non c’era nessuno. Seguii il vialetto fino a quando non arrivai a una fila di scarpe lasciate di fronte all’entrata. Mi tolsi le scarpe, e fui accolto dal Rev. Taka, che mi disse immediatamente, “Chiamami Taka.” Ci sistemammo in una sala d’attesa, dove ci sedemmo, non sul pavimento ma su un divano occidentale. Mi sentii subito sollevato dall’informalità dell’incontro.

Una volta seduti, e aver sorseggiato il nostro tè, mi chiese, “Quindi cosa posso fare per te?” Gli risposi, “Sono qui per essere illuminato e speravo potessi aiutarmi.” Rimase leggermente sorpreso e gli dissi, “Sto scherzando,” e lui sorrise di sollievo.

Scoprii che veniva spesso contattato da persone che volevano fuggire dalla proprio vita quotidiana rifugiandosi nel monastero. Mi disse che quando arrivavano quelle e-mail, mandava prima i “vorrei essere un monaco” da uno psicologo. Se sopravvivevano al colloquio con lui potevano entrare.

Più tardi quel giorno me ne parlò ancora. La sua idea, che io condividevo pienamente, era che se hai dei problemi nella tua vita quotidiana e pensi di trovare la pace e la tranquillità all’interno di un monastero, resterai deluso. Perché all’interno del tempio sei fondamentalmente lasciato solo con te stesso, con i tuoi pensieri, e i tuoi demoni. Se le cose “fuori” sono dure, “dentro” saranno ancora peggio.

Il mio piano quel mattino era di seguirlo come un ombra e unirmi al suo gruppo di meditazione per una seduta (una seduta è un momento di meditazione che prevede 50 minuti di meditazione silenziosa mentre si sta seduti…anche se per i principianti viene portata a 30 minuti). Il Rev. Taka disse che ero libero di fotografare e che potevamo parlare lungo il tragitto.

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Il Rev. Taka inizia il mattino cantando nella hall principale. Per i monaci è come lo stretching mattutino. © Adam Marelli

Sul cuscino

Il giorno inizia con il canto. Il  Rev. Taka si siede nella camera principale di fronte alla gigantesca campana cava. Quando ho sentito per la prima volta la cantilena a NYC era pronunciata in maniera molto lenta appositamente per gli occidentali, perché la maggior parte di noi non parlava giapponese.

Dopo sette anni passati ad ascoltare e imparare quel canto, fui felice di riuscire a riconoscerlo, anche se recitato molto più velocemente rispetto a quanto io non fossi in grado di fare. Si suona la campana, si completa l’archeggio e la cerimonia è terminata. Poi tutti se ne vanno come succedeva a New York. Ma questo era solo l’inizio.

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Fortunatamente non cadevano molte foglie, ma il giardino di pietra doveva essere rastrellato. © Adam Marelli

Il Rev. Taka era fuori a occuparsi della pulizia del tempio. Il vialetto doveva essere spazzato, il giardino di pietra rastrellato, e le stanze dovevano essere preparate per gli studenti. Era un uomo dalle mille incombenze…in parte giardiniere, in parte custode e in parte mamma.

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Siccome parlavamo tutto il tempo, il Rev.Taka a volte si fermava per rispondere alle mie domande sull’evoluzione del buddismo.© Adam Marelli

Gran parte di ciò che sappiamo rispetto alla vita nei monasteri deriva dalla fotografia. Ogni volta che viene mostrato un tempio zen in TV, nei servizi fotografici, o sulle guide di viaggi se ne vede sempre la parte migliore. In realtà, la vita nel tempio è molto simile a quella di una fattoria. Bisogna lavorare, e tutto deve essere fatto velocemente, e lo “zen” che ti aspetteresti assomiglia molto più a una serie di compiti da svolgere piuttosto che all’illuminazione. Un famoso adagio dello Zen americano dice:

 “Prima di raggiungere l’illuminazione ho tagliato la legna e ho portato l’acqua,
dopo l’illuminazione ho tagliato la legna e ho portato l’acqua.”

 Alcuni studiosi hanno cercato di far risalire le origini di questo adagio ai testi buddisti indiani, cinesi o giapponesi, ma senza successo. Che sia storicamente accurato o meno, poco importa.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli USA esportarono i Levi’s in Giappone e importarono lo Zen in California. E in qualche modo gli insegnamenti Zen dovettero venire adeguati alla mentalità occidentale. Questo è ciò di cui il Rev. Taka mi parlò per tutta la mattina. Taka parlò per tutta la mattinata. È necessario che ogni pratica sia aggiornata rispetto alle diverse generazioni, altrimenti corre il rischio di perdere la propria importanza. Ma ne parlerò in seguito.

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Un momento di riflessione del Rev. Taka in cui mi ha raccontato di come suo zio si interessasse allo studio esoterico dei testi buddisti. Questo rende la lettura di Milton pari a una poesia da bambini. © Adam Marelli

Nel giardino

Era settembre e quindi le foglie nel giardino di pietra erano ancora verdi. Il vento ne faceva cadere alcune e appiattiva le increspature del giardino di pietra. Il Rev.Taka e io parlavamo di tutte le convinzioni errate che si hanno sulla pratica Zen.

Tirò fuori un aspiratore per le foglie e disse, “Non uso una scopa di bamboo per togliere tutte le foglie dal giardino. Ho una lista di compiti da terminare prima dell’apertura delle 9.00. Quando ne ho bisogno uso lo strumento migliore possibile. Scopare un giardino con una vecchia scopa non è Zen, è stupido. Portare avanti pratiche antiquate è un errore con cui molte religioni combattono.”

Prima di subentrare nel tempio il Rev. Taka aveva studiato religione e risoluzione dei conflitti presso l’università dell’Arizona. E aveva visto non solo la pratica Zen ma anche le altre maggiori religioni perdere potere perché troppo legate a pratiche antiquate.

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I cuscini e le sutra attendono pazientemente lo studente successivo, come se dicessero, “Noi siamo qui, tu dove sei?”© Adam Marelli

Continuò spigando, “Il modo in cui facciamo le cose non è cambiato. É ponderato, meticoloso e riflessivo… ma non tirerò fuori una vecchia scopa per fare scattare una foto che rappresenti lo Zen come lo si vede sulle cartoline. Ho ancora bisogno del rastrello perché non c’è altro modo per ottenere le increspature nel giardino. Ha uno scopo funzionale.”

Ci vollero circa venti minuti per rastrellare il giardino. Di solito lo finiva in dieci, ma stavamo parlando quindi lo rallentai. Durante la nostra conversazione parlò di un suo zio che era uno studente buddista. L’uomo era in grado di parlare quattordici lingue esoteriche… e non si tratta del francese e del tedesco. Passò la sua vita a tradurre i dialetti usati per scrivere le sutra in India e in Cina. Come se ciascuno di quei paesi non avessi abbastanza dialetti, non riesco ancora ad apprezzare il significato di cimentarsi in quel tipo di traduzione.

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Questa foto per me rappresenta l’intera mattinata. È uno degli scatti che resteranno con me per tutta la mia vita.© Adam Marelli

La seduta

Il giardino era in ordine, la stanza della meditazione era stata preparata e i praticanti erano arrivati. Per quanti non hanno mai provato la meditazione Zen e sono curiosi… non siate timidi. Provateci. I templi sono sempre più aperti anche ai curiosi che vogliono dare un’occhiata. Resterete sorpresi di come stare in silenzio seduti su un cuscino può essere così semplice ma complesso nello stesso momento.

Mentre ci stavamo preparando per sederci, feci una foto che dice molto di più sullo Zen di molti altri scatti. Decritta a parole, la foto non rende. Il Rev.Taka è seduto in fondo alla stanza, e guarda un punto fuori dall’obiettivo, e dietro di lui si vede il giardino. Non un granchè, giusto? Ma il punto è il modo in cui è posizionato e osserva.

Gran parte della fotografia si basa sull’idea che una foto debba descrivere qualcosa, quasi come fosse una prova scientifica. Come se una foto dicesse, “Qui! Guardami, sono la prova che il bianco esiste.” Le foto più significative ci mostrano qualcosa che non possiamo vedere, come un’emozione, che sia la felicità, la tristezza, la paura, la rabbia…

Ma esiste un altro mondo di immagini che non appaiono spesso. Mi sembra di essere sempre lì ad aspettarle e giungono solo poche volte all’anno. Queste sono le immagini che rivelano la natura che sta dietro la scena in modo non immediatamente visibile. Come se il passato, il presente e il futuro prendessero forma per una frazione di secondo e lasciassero un residuo sul sensore.

In apparenza questa è una foto che rappresenta un tizio seduto su un cuscino… non un grande scatto. Ma quello che ho vissuto è stato un momento in cui potevo effettivamente vedere la conoscenza. La conoscenza è invisibile…possiamo vederla applicata nelle azioni, ma è come un’emozione che non possiamo toccare, anche se sappiamo che esiste. Il modo in cui è seduto, la leggera inclinazione e il suo sguardo fisso mostrano il fluire di tutto il tuo sapere.

L’ho trovata ancora più coinvolgente perché il potere di quel momento era amplificato dalla stabilità del suo corpo e rafforzato dalla forza di quella scena. Era come essere un testimone temporaneo di un lampo interno. Il peso e la gravità dell’intera scena erano perfette. E fui felice di esserci.

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Le riviste ritraggono sempre i monaci come fossero persone anziane, dalla pelle invecchiata e simili a statue di granito. Ma la verità è che il Rev. Taka è un tipo felice, simpatico e alla mano. © Adam Marelli

Competenza… una parola sporca

Il mio viaggio in Giappone doveva essere volto alla ricerca di persone che avevano raggiunto un certo livello di competenza e finalizzato a capire perché il loro approccio alla vita stava diventando sempre più raro. E qui si trova il culmine di tutte le filosofie, anni di allenamento e sforzi… distillati in un solo gesto, uno sguardo, un secondo.

Mi ha fatto rendere conto di quanto tempo ho dedicato al mio lavoro e quanto ne ho ancora da fare. Queste immagini magari non vinceranno un Pulitzer, ma nel mondo frammentato in cui viviamo non mi aspetto che molte delle mie foto preferite possano catturare molti sguardi. Esse stanno intenzionalmente cercando di captare una frequenza più bassa, una vibrazione serena, che sta sotto alla superficie e restano distanti dalle immagini che ottengono la maggiore attenzione.

Fotografare i difetti del mondo mi è sempre sembrato troppo scontato. Certo che le persone che soffrono la fame, muoiono, soffrono e vengono torturate attirano l’attenzione… ma non rappresentano la storia nel suo complesso.

Per tutto ciò che non funziona nel mondo, ci sono momenti in cui gli uomini si sono elevati, attraverso le proprie azioni, a un regno a cui molti di noi aspirano e che solo pochi raggiungono. Queste persone spesso siedono nell’ombra, felici della propria vita e senza mai chiedere un riconoscimento. Ma è proprio per la loro umiltà che volevo trovarle, nella speranza di comprendere meglio il potenziale umano nella sua espressione migliore.

Quello che ho scoperto è stato un velo di umiltà attraverso cui potevi vedere un cuore di pazienza, pratica e brillantezza assoluta. A prescindere da quanto forte cercassero di minimizzare il proprio lavoro, esso continuava a svelarsi. Probabilmente c’erano momenti in cui mi sfuggiva ma questo è il motivo per cui tornerò presto in Giappone.

I momenti passati con il Rev. Taka sono stati una conclusione poetica del mio primo viaggio in Giappone. In tutta onestà, non avevo idea di cosa aspettarmi o di cosa sarebbe accaduto. Il Giappone e le persone che ho incontrato mi hanno meravigliato e soddisfatto in modi che non mi sarei mai atteso. Il viaggio di ritorno ha portato con sé più domande che risposte, ma sento che la mia capacità di spostarmi su una frequenza differente è migliorata.

Vorrei ringraziare il Rev. Taka per l’opportunità di esplorare il suo mondo, la mia relazione con esso, e la possibilità di soddisfare le mie curiosità. È stato incredibilmente paziente, ma penso che sapesse il motivo per cui ero li, ancora prima che io arrivassi.

L’enigma dello Zen non è qualcosa che mi aspettavo di risolvere in fretta. I suoi paradossi mi danno ancora il tormento. Ma nonostante questo non  sono preoccupato. Le sfide che presenta sono allo stesso momento frustranti e eccitanti. E chi lo sa, alla fine potrebbe non esserci nulla da risolvere. Potrebbe trattarsi solo del modo in cui ci arriviamo.

 

Articolo di ADAM MARELLI, liberamente tradotto dall’originale: http://www.adammarelliphoto.com/2013/10/a-morning-at-shunkoin-temple/.

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