Quando ho iniziato a dedicarmi alla fotografia con serietà, ho iniziato a frequentare dei corsi. Ricordo che uno dei miei primi prof era solito ripetermi: “per ottenere grandi foto, devi tirare fuori quello che hai dentro”.
All’inizio mi sembrò una frase ad effetto come tante, un giorno però cominciò a parlarmi di Diane Arbus. La fotografa americana, col suo approccio personale verso i propri soggetti, ha rivoluzionato la fotografia documentaria. Ha creato uno stile copiato ancora oggi di cui ti parlerò in questo articolo.
Diane Arbus era solita fotografare i “mostri”. I cosiddetti freaks, ovvero quelle persone che per difetti fisici evidenti vengono considerati “diversi”. Quasi fenomeni da baraccone.
A guardare le foto di Diane Arbus effettivamente si rimane spiazzati. La sua maggiore produzione fotografica era proprio incentrata sulla ricerca, quasi maniacale, di questo tipo di persone.
Diane Arbus, la storia in breve
Nata a New York nel 1923 da genitori ebrei di origine polacca (il suo cognome reale è Nemerov), Diane è una ragazza di buona famiglia.
I suoi genitori sono proprietari di una catena di grandi magazzini. Sin da giovane prende lezioni di pianoforte, di pittura e studia il francese. Lei e i suoi due fratelli in casa hanno bambinaie e servitù.
Crescere in una sorta di campana di vetro, però, contribuisce a crearle quelle paure che si porterà dietro per tutta la vita.
La ricerca quasi ossessiva dei mostri diventa un tentativo di combatterli, usando lo schermo protettivo della macchina fotografica.
Purtroppo, però, questi mostri non riuscirà mai ad abbatterli. Diane Arbus, infatti, muore suicida a 48 anni, nel 1971. Nonostante questo, la Arbus è riuscita a lasciare il segno nella storia della fotografia documentaria.
Gli inizi fotografici di Diane Arbus
Diane Arbus inizia a cimentarsi con la fotografia grazie al marito Allan, fotografo durante la seconda guerra mondiale. Al suo ritorno dal fronte, spiega a Diane tutti i principi della tecnica fotografica, che lei apprende velocemente.
Insieme aprono lo studio fotografico “Diane e Allan Arbus”, che si occupa principalmente di moda e pubblicità. Lo studio diventa molto presto famoso e le commissioni si moltiplicano. I lauti guadagni però non soddisfano professionalmente Diane, che inizia a lavorare a progetti personali.
È proprio la visione del film “Freaks” di Tod Browning del 1932 a folgorare Diane Arbus. Nel film si raccontano le vicende di un gruppo di artisti deformi che lavorano in un circo.
Dopo quel film Diane decide che avrebbe documentato la vita e le storie di chi è diverso, di chi viene ghettizzato dalla società.
Da allora i suoi soggetti preferiti diventano tutte le persone con malformazioni, ma anche prostitute, transessuali, travestiti e nudisti.
Diane Arbus, però, rivoluziona la fotografia documentaria perché non si limita a scattare. Lei avvicina quelle persone, le conosce, ci vive insieme, entra in intimità con esse. Lo scatto è solo l’ultima tappa del processo produttivo.
Il suo approccio rivoluziona il mondo della fotografia documentaria, fino ad allora vissuto sempre con distacco. Documentare fotograficamente, prima di Diane Arbus, significava semplicemente raccontare la fredda cronaca.
Oggi, un bravo fotografo documentarista non può fare a meno di seguire il “metodo Arbus”. Se vuoi raccontare nel migliore dei modi storie di vita umana, devi assolutamente entrare in intimità coi tuoi soggetti.
In questo articolo ti spiegherò quali insegnamenti ci ha lasciato Diane Arbus, prendendo spunto da alcune sue frasi.
1. Entra in intimità col tuo soggetto
“Se io fossi semplicemente curiosa, mi sarebbe assai difficile dire a qualcuno: voglio venire a casa tua, farti parlare e indurti a raccontare la storia della tua vita. Mi direbbero: tu sei matta. E in più starebbero molto sulle loro.
Ma la macchina fotografica dà una specie di licenza. Tanta gente vuole che le si presti molta attenzione, e questo è un tipo ragionevole di attenzione da prestare”.
Insegnamento
Quando ti appresti a documentare la vita di qualcuno, non puoi limitarti ad andare lì e iniziare a scattare. Diane Arbus ha fatto scuola e queste parole lo spiegano in maniera esemplare.
Nessuna persona comune si sente a propria agio quando viene fotografata. A maggior ragione quando cerchi di catturare momenti di vita intima.
Capita anche a me nella fotografia di matrimonio. Trovo gli sposi molto più disinvolti se, prima dell’evento, ci ho parlato spesso e li ho incontrati qualche volta.
Prendo un caffè insieme, parliamo delle nostre vite, del lavoro, delle nostre passioni. Parlo anche di me. È molto più semplice creare empatia se metti a nudo anche te stesso.
Col tempo ho imparato che avere i soggetti a proprio agio, migliora sensibilmente anche la qualità degli scatti. La spontaneità è straordinariamente fotogenica.
2. Non fare previsioni
“Nelle mie fotografie non ho mai ottenuto il risultato che aspettavo prima di scattare. Dopo lo sviluppo erano sempre migliori oppure peggiori”.
Insegnamento
Questa riflessione di Diane Arbus trova grande applicazione proprio oggi, con la fotografia digitale. Oggi puoi realizzare molti più scatti, rispetto ai tempi dell’analogico. Ma quante volte hai perso tempo a cercare l’inquadratura giusta, perdendo poi il momento migliore?
Come ti spiega Diane Arbus, il risultato dello scatto non è preventivabile al 100%. Puoi stare lì interminabili secondi a trovare l’inquadratura migliore, ma questo non sempre ti garantisce un ottimo risultato.
Per questo motivo, dedicaci il tempo strettamente necessario, ma scatta velocemente. Oltretutto, con la fotografia digitale, puoi realizzare più scatti in poco tempo. Quindi puoi sensibilmente migliorare le tue percentuali di riuscita.
3. Pensa al contenuto, non alla forma
“Per me, il soggetto dell’immagine è sempre più importante dell’immagine”.
Insegnamento
Questa frase l’ho rubata a Diane Arbus per farne un mantra nei miei corsi di fotografia. Quando sei agli inizi, sei sempre molto attento ad applicare correttamente la tecnica e la composizione fotografica.
È un atteggiamento comprensibile. Questo, però, non deve sviarti dal tuo compito principale di fotografo, ovvero comunicare un messaggio.
In una fotografia è sempre più importante il contenuto della forma. Tecnica e composizione non devono essere fini a se stessi, ma solo strumenti per comunicare il tuo messaggio.
Quindi non cadere nella trappola di confezionare una foto “bella che non balla”. Chiediti sempre: “cosa voglio raccontare?”. E soprattutto: “quello che voglio raccontare, sarà comprensibile anche agli altri?”. Se riuscirai a rispondere a queste due domande, avrai posto le basi per una foto di successo.
4. Fai foto brutte
“La questione è che non si eludono i fatti, non si elude la realtà com’essa è veramente…È importante fare delle brutte fotografie. Sono le brutte che mostrano qualcosa di nuovo. Esse possono farvi conoscere qualcosa che non avevate visto, in una maniera che ve le farà riconoscere quando le rivedrete”.
Insegnamento
Questo insegnamento è utilissimo soprattutto quando lavori ad un progetto fotografico. Come spiegato anche al punto 3, l’estetica è importante, ma non è l’unica cosa che conta.
Nella sequenza di un progetto fotografico, è importante che la tua storia racconti tutti gli aspetti del tema che stai affrontando. Una foto brutta ma efficace, può essere uno dei modi migliori per descrivere la realtà.
D’altra parte, soprattutto nella documentazione fotografica, una foto esteticamente imperfetta apparirà molto più realistica. Quindi anche più vera.
5. Scegli bene i tuoi insegnanti
“Finché non studiai con Lisette Model sognavo di fare fotografie, ma non le facevo davvero. Lisette mi disse che dovevo divertirmi nel farlo…”.
Insegnamento
Diane Arbus inizia a fotografare a partire dagli anni ’40. Fotografa modelle e prodotti utilizzando una nikon 35 mm. È proprio grazie all’incoraggiamento della Model che Diane supera la timidezza e inizia a fotografare i soggetti che davvero la interessano.
Lisette Model però è fondamentale anche nella scelta della sua attrezzatura. Abbandona la Nikon e le sue macchine fotografiche diventano le 6×6, Rolleiflex o Mamiya dal mirino a pozzetto.
Sono macchine fotografiche poco appariscenti, che non incombono timore nei soggetti. Diane guarda anche nel pozzetto, senza uno sguardo diretto. Il cambio è una svolta per la sua carriera.
Se decidi di fare sul serio con la fotografia, corsi e workshop diventano importantissimi per crescere. Attento, però, a non frequentarli tanto per farlo.
La scelta dell’insegnante è fondamentale. Non deve essere solo un bravo fotografo, ma deve essere soprattutto bravo ad insegnare.
Mi sono imbattuto spesso in bravissimi fotografi, che però spiegavano i concetti in modo asettico e distaccato. Alla fine quei corsi li ho quasi dimenticati, perchè mi hanno lasciato pochissimo.
Quindi scegli il corso di tuo interesse, ma documentati soprattutto sul docente. Chiedi referenze in giro, cerca di capire le sue capacità di insegnamento. Un fotografo bravo su questo aspetto, può diventare fondamentale per la tua crescita.
Approfondimenti
Se vuoi conoscere meglio il grande apporto di Diane Arbus alla fotografia documentaria, inizia da questi libri: