Come l’ho scattata: casa dolce casa

Come l’ho scattata: casa dolce casa

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Il racconto che segue è il dietro le quinte di uno scatto che mi ha dato molte soddisfazioni. Quella notte è stata tutta una corsa per arrivare nel posto giusto al momento giusto.

La foto, poi, è stata scattata in fretta e in assenza dell’attrezzatura che sarebbe stata davvero necessaria.

La casa che vedi nella foto è casa dei miei genitori. Io abito alle pendici dell’Etna, in un rustico con vista sul mar Ionio. Il vulcano invece non è visibile dalla terrazza, a meno di non scendere fino al cancello, che si trova alla base di una piccola collina.

I catanesi sono abituati agli spettacoli straordinari offerti dal vulcano, “a muntagna”. Durante le fasi esplosive, i fumi rossi e le colate laviche sono ben visibili da tutte le zone circostanti e vengono continuamente fotografati, anche con i cellulari. Se tra i tuoi contatti Facebook hai amici siciliani, sai di cosa parlo.

Ti sarà sicuramente capitato di capire immediatamente quando l’Etna è in eruzione, vista la quantità di condivisioni foto e video, che si allarga a macchia d’olio nei periodi clou, diventando virale.

La storia della foto: quando il tempismo è tutto

Prima di raccontare i retroscena della fotografia devo fare una premessa

A te che stai guardando la foto, sconcertato, forse pensando al pericolo, voglio dire: né il fotografo, né gli abitanti della casa correvano alcun pericolo. Questa precisazione farà sorridere un catanese qualunque, ma non chi non è di queste parti.

Mi capita continuamente di ricevere commenti del tipo: ” Siete scappati in tempo?” oppure “State tutti bene?” Tutto bene, grazie!

La sensazione di vicinanza al vulcano e il conseguente pensiero che l’abitazione possa essere da un momento all’altro inghiottita dalla lava sono, infatti, solo frutto di un effetto ottico. Ti assicuro che la distanza reale è notevole. Ci sono stata davvero sotto un conetto vulcanico attivo, ed è meraviglioso e adrenalico, ma questa è tutta un’altra storia!

Ma procediamo con ordine nel racconto.

L’anno scorso, la notte tra il 16 e il 17 novembre 2013, la montagna si è esibita in una violenta attività stromboliana. Si è trattato del sedicesimo parossismo del 2013.

Il parossismo, nel linguaggio comune, è l’insieme dei fenomeni esplosivi più violenti che caratterizzano un’eruzione. È, insomma, la fase più acuta.

I parossismi vengono calcolati dall’inizio dell’anno: nel 2013 se ne sono contati 19. Il diretto responsabile dell’attività esplosiva è stato, in quel caso, il nuovo cratere di sud-est. Ma non è sempre così.

L’Etna, infatti, è un vulcano in costante evoluzione, come puoi capire dal fatto che questo cratere è chiamato “nuovo”, per distinguerlo dal vecchio, che si trova a circa 350 metri più a ovest.

I crateri sommitali sono in tutto quattro, ma il sud-est è il più attivo. Inoltre spesso le eruzioni si producono anche dai fianchi, ogni volta che il magma in risalita scava nuove strade.

Quella notte mi trovavo a Catania, la serata con gli amici stava quasi volgendo al termine quando, da via Etnea (la strada rettilinea che percorre il centro storico e che apre la vista sull’Etna, appunto) si è resa visibile l’attività eruttiva.

Tutti guardavano in direzione del vulcano. A quel punto, sono salita in macchina e mi sono diretta verso casa.

Mentre salivo di quota, le fontane di lava apparivano e scomparivano, a volte coperte dal paesaggio. Ogni minuto s’intensificavano e pulsavano a ogni nuova emissione di gas ed erano perfettamente visibili, grazie alle condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli.

Alcune file di automobili si formavano ai lati delle strade: erano tutte persone che si fermavano ad ammirare lo spettacolo e scattare fotografie.

Quando sono arrivata a casa, si era già alzata un’enorme colonna eruttiva di materiale piroclastico proiettato a cinquecento, seicento metri sul bordo craterico, mentre i boati erano udibili a chilometri di distanza.

Nonostante l’ora tarda tutti i membri della mia famiglia erano in piedi a guardare il panorama “infernale”. Se abiti non troppo lontano dal vulcano, durante un periodo di eruzioni, lo senti forte e chiaro, come se davvero lo avessi dietro casa.

A quel punto sono corsa a prendere la reflex, sulla quale era montato il Canon 100-400, e mi sono di nuovo diretta al cancello, da dove potevo fotografare la scena.

Ho però dimenticato di portare con me anche il cavalletto, oppure ho forse soltanto sottovalutato l’occasione fotografica che mi si presentava.

Luce e ombra: una scelta compositiva obbligata

Nell’oscurità la casa era visibile solo grazie alle luci esterne e sembrava lambita dal materiale infuocato, che scendeva a pioggia a ogni nuovo sfogo del vulcano.

Durante le esplosioni, si vedeva chiaramente il materiale ricadere dall’alto e rotolare lungo i fianchi della montagna, mentre fumi rossastri avvolgevano tutto, cambiando forma quando cambiava il vento. A fatica erano invece percepibili le strisce di neve, poco più sotto.

Mi sono subito accorta di come, nel buio, l’Etna sembrasse davvero vicinissimo al punto in cui mi trovavo. Gli unici punti luce visibili, infatti, erano due: quello offerto dall’illuminazione interna ed esterna dell’abitazione e quello delle esplosioni stesse.

Tutto lo spazio in mezzo, la grande distanza che separava materialmente la mia reflex dal luogo dell’evento, erano inghiottiti dall’ombra.

In questi casi l’occhio umano viene ingannato e indotto a credere che nel buio non ci sia niente, che il buio sia vuoto: le ombre sono indecifrabili e due luci nell’oscurità, per quanto lontane tra loro, sembrano vicine. In una situazione di questo genere le scelte compositive sono pari a zero, anzi uno: l’unica inquadratura possibile era la casa, con il vulcano sullo sfondo.

Ho, quindi, scelto di scattare una fotografia nella quale l’impressione di vicinanza dei due soggetti fosse ulteriormente incrementata. L’uso dello zoom non può che favorire questa scelta, perché offre un’inquadratura ristretta, che taglia fuori tutto, tranne ciò che interessa.

Mantenere l’inquadratura ferma a mano libera non era tuttavia semplice, nonostante il biancone sia stabilizzato. Ricordo di essere salita sul tetto dell’automobile ed essermi sdraiata a pancia sotto, mentre cercavo di poggiare anche la reflex e l’obiettivo davanti a me, per guadagnare stabilità.

Le impostazioni della fotocamera

Il buio era assoluto, e anche se io zoomavo verso un punto luminoso, dovevo per forza impostare ISO alti, motivo per il quale la foto è rumorosa. Ricordo anche che avevo dimenticato di cambiare la distanza di messa a fuoco sull’obiettivo (invece che da 6.4 a infinito era impostata da 1.8 a infinito, modalità che va bene solo per soggetti vicini), quindi tutte le foto iniziali erano da buttare. Per fortuna dopo mi sono ricordata: meglio tardi che mai!

Per guadagnare luminosità, ho aperto il diaframma a f/5 e impostato un tempo di 0.6 secondi (a 1600 ISO).

Ho utilizzato una misurazione dell’esposizione di tipo “spot”, normalmente contrassegnata graficamente nei menù da un pallino al centro di un quadrato.

Quando si sceglie il metering mode spot, l’esposimetro legge il valore della luce solo all’interno di un’area molto limitata, che corrisponde al centro (per leggere di più sulle modalità di misurazione dell’esposizione, clicca qui). La mia reflex è quasi sempre impostata così, perché quando fotografo gli animali mi interessa che l’occhio del soggetto sia la parte esposta più correttamente.

In questo caso, invece, preferire la misurazione spot sul vulcano o sulla casa significava ottenere una buona esposizione sui soli soggetti illuminati e incrementare, contemporaneamente, le ombre su tutto il resto. Dicendo alla fotocamera che a me interessava che “leggesse bene” soltanto la parte illuminata, tutto il resto veniva sottoesposto.

Ho scelto lo scatto a raffica, perché le esplosioni erano fulminee e la situazione si evolveva molto in fretta: non potevo sapere qual era il momento migliore per scattare.

Questi fenomeni, inoltre, si sviluppano rapidamente, ma altrettanto rapidamente possono esaurirsi. Per questo motivo, ho dovuto scattare in tutta fretta, con il solo scopo di non perdere il momento: fissare il ricordo di quella nottata spettacolare era la mia unica preoccupazione.

Ho ottenuto diversi scatti della casa, con il vulcano dietro, ma anche delle singole esplosioni. L’attività eruttiva è poi andata scemando nelle ore seguenti.

La post produzione

In post produzione ho cercato, innanzitutto, di limitare il rumore digitale usando il cursore “riduzione rumore luminanza” di Lightroom. Per incrementare ulteriormente la sensazione di vicinanza della casa al vulcano, ho aumentato un po’ le ombre.

Ho infine migliorato la nitidezza, che ha reso ben visibili le rocce incandescenti che circondano il cratere e fatto venir fuori più particolari all’interno del magma.

Conclusione

La foto è stata scelta per la pubblicazione su La Rivista della Natura, numero 1/2014.

Nonostante da un punto di vista tecnico non rappresenti l’eccellenza, credo che la storia che racconta sia potente. Per quanto mi riguarda, questo è il genere di fotografie che scatto per restituire valore al concetto “voglio, anzi, devo fotografarlo per ricordare“.

Mi considero fortunata, per essere nata qui. Capisco che non tutti possono assistere a spettacoli del genere. Inoltre il vulcano non è fotogenico solo durante le eruzioni più spettacolari, ma ha dato vita a un’area naturale ricchissima, che, dalle zone sommitali a quelle collinari, offre numerose occasioni fotografiche. Per questo motivo, se programmi un viaggio in Sicilia, ti invito assolutamente a visitarlo, certa che, da fotografo, non te ne pentirai.

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